Misantropia.it

Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Novantasettesimo

E allora galleggiamo.

Sono quasi le 17,30 e sto combattendo col sonno1, sul posto di lavoro.
Vivo questa condizione con l’alienazione forzata di chi deve trasmettere il sorriso-di-servizio tanto rassicurante ai clienti.
Sento la mia voce squillante e attiva e presente e rassicurante, come fosse quella di un altro. Abbastanza vicino da vedere quello che succede, ma con una grossa lastra di vetro a dividermi dal mondo esterno, le mie stesse parole sembrano provenire da laggiù, da qualcuno che non sono io. Insomma, mentre quella cosa – cioè io – parla, sono lì sopra dietro una vetrata, tanto vicino da vedere, ma privato della possibilità di sentire i suoni in modo reale: li sento ovattati.
Un po’ come stare dietro quelle grosse vetrate che mettono sopra le piscine e da cui le mamme tengono sott’occhio i figli alle prime prese con l’acqua e il galleggiamento.

Stavolta l’insofferenza ha una giustificazione tangibile – pare – ma incredibilmente mi scopro buono – (deve essere per forza qualcun altro quello che parla…).
Ad un signore anziano ho descritto meticolosamente i tre tipi di gelato confezionato in vendita come se fossi ad un provino per media shopping e inappagato dal gesto tanto cordiale, l’ho aiutato ad aprire la scatoletta dei “Bocconcini Di Gelato Alla Vaniglia Ricoperti Di Cioccolato Al Latte2”, visto l’inquietante tremore parkinsoniano, prima che facesse del contenuto della confezione un omogeneizzato vaniglia e cacao.

Novantaseiesimo

Abbinare uno stato mentale vacillante, la lettura di Daniil Charms ed Emile Cioran ad un lavoro sociale non è propriamente consigliabile.

N
: Ecco, in questo periodo ho letto i libri più sbagliati da leggere.
P: Tu leggi sempre i libri più sbagliati da leggere in “quel” periodo, c’ho fatto l’abitudine…

Novantacinquesimo

DI GETTO

<<Allora, ti dicevo, non c’è nulla di logico, dici tu? Io dico di no, invece, la sua logica ce l’ha. Come? Sì, sì! Me ne dia mezzo chilo, e anche di quelle mele là, sì, quelle verdi. Non è illogico il suo modo di reagire, devi capire che non ha mai superato il trauma, e ora, se si ritrova in ospedale, è perché ha reagito secondo quello che doveva fare.
Scusa, mi prendi quel sacchetto dal tipo? Io intanto pago alla cassa.
Ok, ok, non hai niente da dire, ma non puoi restartene lì a guardarmi con quella faccia: quello che si poteva fare l’abbiamo già fatto, no?
Di là per i pomodori. Devi sapere che un anno fa dovevamo andare a Trieste per un concerto offerto da emtivvì, non che la cosa fosse particolare, ma almeno era un pretesto per andarci.
Eravamo sul treno che portava appunto a Trieste, tutto va tranquillo finché in una stazione secondaria… non ricordo nemmeno il nome, ma eravamo praticamente arrivati, saltano su un gruppo di ragazzini.

Novantaquattresimo

Radiografia, che nel mio caso basta una controluce.

Esiste una sorta di laica rettitudine nel mio essere misantropo.
Laica perché di certo non comprende castità né tanto meno pietà a prescindere: quelle robe lì le lascio a uomini dalla tempra adatta e di ben più alti valori dei miei.
Ma resta fermo il punto sulla “rettitudine”.
E’ quella cosa che mi permette di guardare negli occhi tutte le persone che incontro, cantata anche da Giorgio Gaber nel suo “se fossi Dio”.

L’odio compulsivo nei confronti della maggior parte delle persone nasce, di fatto, dalla convinzione di esserne migliore.
Sofferenze, vittorie, sconfitte, tutte avvenute alla luce del sole. Nulla da nascondere che non siano al 100 percento cazzi miei – e quelli me li tengo ben stretti attento a centellinarli solo alle persone davvero affini.

Novantatreesimo

Quella strana cosa che si materializza e ti diventa compagna. Per i primi giorni la si sopporta, dopo una settimana dà sui nervi e toglie ogni ragionamento. Al terzo mese cominciano le allucinazioni.

Insonnia: Buonasera Nicola, come va stanotte?

Nicola: “Buongiorno” mai tu, è?

Insonnia: Dai, lo sai ormai: ho anche io i miei orari. Di giorno lavoro, sono altrove. Come te, del resto.

Nicola: già, ma io la notte preferirei non rompere i coglioni al prossimo. Al massimo una birra o una grappa in un bar, poi tra le braccia di Morfeo…

Insonnia: perché sei gay? …Non l’avrei mai detto.

Novantaduesimo

Un microscopico tributo. L’arrogarsi il diritto di buttar giù qualcosa almeno in grado di non farti voltare pagina alle prime righe.

La tua America era decisamente più semplice. No, non per l’effettiva scioltezza descrittiva delle piccole realtà rurali. Semplice questione di semantica: l’italiano è scaltro – no, non la lingua, l’individuo – e sa fare in modo di girare e rigirare i significati di più parole al suo modo d’interessere.

Mi sposto e cerco di togliere un po’ di sfumature, così da avere una bella serigrafia nitida della faccenda.

Finalmente ho trovato un lavoro che si concilia con gli studi, un lavoro capace di darmi il tempo per studiare. Ed un lavoro di cui non pensavo assolutamente d’essere in grado.

Mi ci vedi sorridente – quasi-sorridente – con chiunque? Dietro un bancone? In grado di gestire un bar con gli ordini e tutte quelle cose lì?
Il vantaggio è di certo nella locazione. Dentro ad un cinema i clienti non hanno scampo. Soprattutto quelli muniti di chiassoso suppellettile comunemente definito “figlio/a” da soddisfare pena lagnoso e dolente trituramento degli attributi.

Novantunesimo

Vaffanculo. No, VAFFANCULO!

L’orologio del piccì fa l’una e 29 minuti – come tu scrivevi, i numeri in lettere fino al venticinque: per cosa poi, non l’ho mai capito.

Sfoglio le niùs di gùgol: “Suicida lo scrittore USA Foster Wallace”.
La ciliegina dell’anno.

Numericamente, cabalisticamente, sailcazzemente, il duemilaotto (stronzo) va chiudendosi nel più imponente e sfarzoso dei modi.

Al rovescio.

E’ che è – era, stronzo – il mio scrittore.

Devo cominciare a scrivere lettere intimidatorie a Sedaris.
Cose del tipo “non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello” o giù di lì.

Divertenti gli articoli delle testate italiane: è morto, s’è impiccato, l’ha trovato la moglie. Cenni biografici.
Vaffanculo anche a Voi.

Novantesimo

Stasera c’è ancora la luna con quella stella a fianco, poco distante.
E’ come se fossero collegate da un filo invisibile tenuto sempre alla stessa tensione.
Mi sono chiesto se anche tu ti fermavi a guardarle, le stelle, di tanto in tanto.
Prima non te l’avrei mai chiesto. Credo per l’imbarazzo: sembravi tanto pratica tu.
Eppure riempivi sempre tutte le parole crociate, le cornici concentriche e completavi anche quelle da cercare, quelle tutte bianche.
Io non ci riesco tutt’ora.

Non per altro: è che tra le cose pratiche un’approfondita conoscenza del lessico non mi sembrava paragonabile alle faccende domestiche e/o lavorative.

Ottantanovesimo

-21 giorni e posso lasciarmi alle spalle questa estate vagamente fredda e tu su di un’isola lontana. Non ci sarò all’aeroporto, ma per tutto il resto.

Ottantottesimo

Non c’era nulla che suscitasse il men che minimo senso di movimento in lui.
Sarà stata l’espressione ebete. Saranno stati gli occhi semichiusi. Sarà stata la camminata gobba, ma lui non si poteva di certo definire una persona carismatica.
Debosciato, moscio, con seri problemi di socializzazione.

A dire il vero, i problemi li aveva avuti anche con l’eroina, ma quel periodo era passato.
Nulla lo attraeva abbastanza da poter valere un minimo di entusiasmo a riguardo.

Sembrava che una cosa, per esser meritevole d’attenzione, dovesse per forza avere l’approvazione di chiunque gli stesse attorno in quel periodo.

Per intenderci, se la compagnia in quel periodo considerava “in” l’eroina, beh, allora si faceva.
Così lo era per il bere.
Sembrava incostante in qualunque cosa, mentre manifestava una certa continuità per tutto quanto riguardasse l’alterazione del proprio stato mentale.

Pagina 10 di 19

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén