E allora galleggiamo.
Sono quasi le 17,30 e sto combattendo col sonno1, sul posto di lavoro.
Vivo questa condizione con l’alienazione forzata di chi deve trasmettere il sorriso-di-servizio tanto rassicurante ai clienti.
Sento la mia voce squillante e attiva e presente e rassicurante, come fosse quella di un altro. Abbastanza vicino da vedere quello che succede, ma con una grossa lastra di vetro a dividermi dal mondo esterno, le mie stesse parole sembrano provenire da laggiù, da qualcuno che non sono io. Insomma, mentre quella cosa – cioè io – parla, sono lì sopra dietro una vetrata, tanto vicino da vedere, ma privato della possibilità di sentire i suoni in modo reale: li sento ovattati.
Un po’ come stare dietro quelle grosse vetrate che mettono sopra le piscine e da cui le mamme tengono sott’occhio i figli alle prime prese con l’acqua e il galleggiamento.
Stavolta l’insofferenza ha una giustificazione tangibile – pare – ma incredibilmente mi scopro buono – (deve essere per forza qualcun altro quello che parla…).
Ad un signore anziano ho descritto meticolosamente i tre tipi di gelato confezionato in vendita come se fossi ad un provino per media shopping e inappagato dal gesto tanto cordiale, l’ho aiutato ad aprire la scatoletta dei “Bocconcini Di Gelato Alla Vaniglia Ricoperti Di Cioccolato Al Latte2”, visto l’inquietante tremore parkinsoniano, prima che facesse del contenuto della confezione un omogeneizzato vaniglia e cacao.