<< Alla fine è arrivata! >>
<< Cosa? >>
<< Ma che domande: la misantropia! >>
Questa è la fase conclusiva di una telefonata in cui vomitavo fuori tutte le frustrazioni date dalla gente durante le feste.
Dunque dunque… da dove cominciamo? Ah sì, da settembre!
No, no, no. Nono, era ottobre. No, nemmeno. Novembre lasciamolo passare così com’è e chiamiamo l’Abbenda una volta per tutte: o faccio così, o non ne vengo fuori.
– Marco, mi senti? Io ti sento a scatti, spostati dal bunker! –
– Mi senti ora Nik? –
– Forte e chiaro. Senti, per quella roba là facciamo così: io riposo il lunedì. Facciamo il primo lunedì di dicembre, per te va bene? –
– Così su due piedi non posso dirtelo. Fammi vedere se non ho nessun impegno e poi ti mando conferma via messaggio –
– D’accordo! –
SMS
Ok, il primo lunedì di dicembre va benissimo Nik!
Ma quanti ne abbiamo il primo lunedì di dicembre? Sei. San Nicola. Perfetto!
Mi sono sempre considerato troppo scostante in generale, motivo per cui non ho nessun addobbo corporeo permanente. Non ho, non avevo. Il fatto è che temevo di stancarmene alla svelta, ma visto gli ultimi mesi era decisamente l’ora di una presa di posizione. E pure futile, a voler ben vedere, ma estetica e voluta, fortemente voluta.
E tatuiamoci pure una cosa costante, crescente. Crescente al punto da sentirla maturare lentamente, anzi no, gonfiarsi come le gocce che scivolano su di uno specchio quando mille più piccole si uniscono per la condensazione della doccia a 60 gradi. E sentirla uscire dalle terminazioni nervose e darsi una direzione ben precisa. Tatuiamoci un cardo.
Partire per andare dall’Abbenda ha sempre un non-so-che di sacrale, farlo il giorno del mio onomastico per rompere uno dei miei tabù personali cominciava a lasciarmi un senso di mistico disagio. Troppe coincidenze.
Sottoporsi a poco più di tre ore di punzecchiamento è stata un’esperienza a tratti mistica: ho visto la Madonna, San Giuseppe ed anche San Nicola che mi offriva da bere.
Dunque, dopo la fase decisionale, le prime linee e le prime ombre, arriva la sera.
Ci sono persone al mondo che sanno mettere a proprio agio chiunque si trovino di fronte. Ci sono persone che hanno questo dono e spesso si rimane di stucco di fronte anche alla brillantezza delle conversazioni, degli argomenti snocciolati con una naturalezza disarmante ed alla riflessione. I genitori di Marco rientrano in questa categoria di persone eccezionali e devo dire di essere rimasto davvero colpito dalla conversazione tenuta a cena – anche se mi è stato risposto un “ci penso su” su una precisa domanda cui attendo la risposta come un bambino il regalo di compleanno.
Con mezza schiena martoriata il buon Marco mi porta a vedere il suo paes: Sezze Romano.
Una particolarità che balza all’occhio quando dalla stazione ci si sposta verso casa sua – cui ci si arrampica tra un paio di tornanti sopra un colle. Se si guarda la campagna da vicino, dando le spalle ai monti, il paesaggio terrestre è del tutto identico a quello di mordor. Campi e terra piatta che tocca cielo. Poi ti volti e vedi le colline, anche spigolose, che svettano a chiudere la vista dell’orizzonte. Poi ti arrampichi e vedi la distesa pianeggiante che si slancia verso il mare. Poi, ancora più in alto, lo vedi il mare. E se il cielo è limpido quanto basta riesci ad intravedere l’isola di Ponza. Un cabarét per gli occhi.
Nella passeggiata notturna Marco mi spiega degli anelli di mura ciclopiche che caratterizzano il posto, mura chiamate così per gli enormi massi di cui sono fatte e non mi dilungo oltre perché le spiegazioni storico/culturali, nelle condizioni in cui stavo, riuscivo a percepirle poco poco.
Arriviamo in piazzetta e lì capisco cosa intendeva per “c’è sempre gente e ci si diverte”. Finire alle quattro della mattina suonando il pianoforte, con chitarra e bonghi, canzoni popolari del sud, vecchie canzoni di musica leggera italiana, seguendo chi ti grida gli accordi da appoggiare intanto che li suona, è stata la ciliegina della giornata.
La schiena, intanto, continuava a dolermi come se mi avessero preso a bastonate per venti minuti, esattamente nello stesso punto.
La scena, poco prima che andassimo a dormire, accaduta nel bagno è meritevole di una descrizione diversa:
Marco indossò i guanti in lattice e si riempì un palmo con il sapone liquido. Nicola si sfilava la canottiera con un movimento che ricordava la mossa di una partita a shangai. Emise, qualche verso soffuso, conscio di non dover disturbare chi stava dormendo al piano di sotto.
<< Mi raccomando, fai piano >> disse Nicola, senza nascondere la preoccupazione.
<< Non ti preoccupare Nik >> lo rassicurò Marco.
Al primo contatto Nicola incarcò la schiena, portandosi una mano alla bocca. I suoi occhi sembrarono vibrare.
<< Tranquillo Nik, ho quasi finito >>
Nicola si divincolò appoggiandosi alla parete opposta, Marco dovette inseguirlo, più e più volte mentre ad ogni contatto della mano con la schiena Nicola nominava il nome di Dio invano nella mente e si tappava la bocca per evitare suoni equivoci.
Marco rimane e rimmarrà sempre l’uomo dei dialoghi dell’anima. Sempre in un punto sovrastante il paesaggio, sempre con argomenti che variano dall’arte alle paure, passando per la musica e finendo sui luoghi. Per questo credo sia raro. Discutere di quello che abbiamo discusso su una balconata che ti proietta su quel delirio di luci pianeggiante, sotto, come essere a bordo di un’enorme trans-atlantic ed avere attorno il mare con tutte le luci riflesse.
<< Nik, quando lo finiamo? Io non vedo l’ora di vederlo finito quel cardo! >>
<< Marco, lascia passare le feste, qual è il primo lunedì dopo il sei gennaio? >>
<< E’ l’undici >>
Grazie al cielo, pochi giorni dopo, qualcuno mi ha fatto notare che il primo lunedì dopo il sei gennaio venti-undici era il dieci, e non l’undici. Probabilmente avevano adocchiato il calendario indietro di un anno. Succede. Io non avevo la forza per pensarci. Avevo solo un lieve fastidio alla scapola sinistra.
Sveglia alle sette per prepararsi bene, infilare pigiama e cose che mi servono nella borsa e non dimenticare nulla. Arrivo in stazione Tiburtina con immersione in metropolitana. Scrutata veloce allo strano agglometrato di folla assiepato ridosso i display degli orari dei treni e commento fra sé-e-sé: sticazzi, tanto prendo la metro. Emersione sulla superficie di Termini e sgomento per sciami impazziti di viaggiatori ronzanti ridosso i display delle partenze e degli arrivi, ridosso ai negozi, ridosso ai treni, al personale Trenitalia. Delirio, Delirio!
Ma @#[#@-£$%!!!!
Una voce femminil-elettrica ammonisce: I TRE-ni Po-trAnnO-SuBIRE-Ritardi-O-Essere-SOppressI-A-cAusA-dI-un-gUAsto-AllA-LiNEA-e-lettR-cA… (e la “I”?).
Ma @#[#@-£$%!!!! (2 volte).
Sono riuscito ad arrivare a Sezze a mezzogiorno prendendo il treno con arrivo previsto alle nove e venti. Con soppressione a Latina. Ovvio – e questa è un’altra storia.
Step tciù: mi ero completamente dimenticato quanto male faceva prendere bastonate sulla scapola.
Tralascio volutamente le fasi del lavoro.
<< Nik, senza dirti nulla ti ho anche ribattuto le linee dell’altra volta! >>
E sì, Marco, non te ne sarò mai grato abbastanza. Ma è strano. Dopo tutto il male che mi hai fatto, esserti grato mi suona strano. Non sono masochista, odio quelle robe. Più di quattro ore sotto-i-ferriI e stavolta l’ho accusato un po’ di più. Ma non potevo tirarmi indietro alla serata, a maggior ragione del fatto che dopo la mezzanotte sarebbe scattato il suo compleanno. Due date memorabili per questo cardo.
La serata s’è svolta come doveva andare, e per la prima volta non solo ho offerto da bere al barista, ma gliel’ho anche portato al tavolo. E questa, mi mancava ancora.
Insomma, sono ancora dolorante e provato: sto scrivendo dopo quella serata e una giornata di contatto col pubblico tanto odiato. Forse passerà, per ora non mi importa, devo solo dormire.
Grazie Marco.
fra
bellissimo il cardo!!
meritava un pò di dolorino, no? 😉
vaira
non potevi scrivere :”ho fatto un tatuaggio?”
scherzo .
e’ bello veramente, pero’ ora sei come tutti noi e non sei piu’ originale… 😉
era da tanto che non passavo a leggere queste storie ed e’ ancora piu’tempo che non vedo il tipo che le scrive.
(…)mettici dentro tutte le bestemmie che conosci.
nicola se la prossima volta che vieni giu’ cioe’ su e non ti fai sentire m’incazzo.
non farmi venire su cioe’ giu’.
a presto bestiaccia
Nicola
Fraaaaa! Come va dalle tue parti, dove l’inverno è sontuoso?
Conservo ancora da qualche parte la foto di quell’albero ghiacciato ed innevato, immerso nel bianco.
Diciamo che “dolorino” sarebbe riduttivo, e riduttivo molto: c’è stato un momento – lungo almeno 30 minuti – in cui ho odiato Marco. Di quell’odio distillato che si riserva solo ai nemici. Poi è finita, e sì, hai ragione. Ne è valsa la pena.
Vaira, sai che ho fatto un tatuaggio? Te l’avrei anche detto, fossi reperibile. Mi hanno detto che hai gettato il cellulare. Ti invidio e non sai quanto. E sei riuscito a farmi ridere come ai vecchi tempi, quando gli amici di famiglia ci incontravano in giro e mi chiedevano se mi ero fatto qualcosa perché continuavo a ridere. No, eri tu. Comunque sai dove sono, ed il mio numero ce l’hai. Per trovarti devo ricorrere ad un rito voodoo o c’è modo? Se tutto va bene sono a Mordor per febbraio. Ma, ti ripeto, dove sono lo sai benissimo anche tu! A presto!
P.S. questo è un invito a venire su, cioè giù. Basta che poi non ci facciamo arrestare.
fra, sì.
Finalmente.
Gianluca
….veramente un bel lavoro!
Certo che farlo passare per la scapola è stato masochismo pure secondo me 😉 in quelle zone, soprattutto per chi ha un fisico – ehm – snello come il tuo è un delirio di dolore.
Lo so perché sulla scapola ho un bel corvo tutto nero fatto con l’ago grosso *ohi*
Ci vediamo a carnevale allora!
Gianluca
puro non pure 😛
vaira
il tuo numero era (e se non lo hanno tolto rimane) nel cell ma non avendo piu’ il cell non ho piu’ nemmeno il tuo numero.
io sono venuto a roma ,ho chiesto di te ma dopo aver visitato una ventina di nicola ho desistito…
saro’ stato io ma a volte invece… 😉
attento con il voodoo … 😉
prometto che morisse il papa (hihihihi) quest’anno vengo (a trovarti)…speriamo di venire comunque.
mandami nuovamente la tua mail .
ciao nicolai