Tra le ricorrenze è quella peggiore, ma tocca.
Avrei avuto tante cose grandiose da scrivere qui, in sequenza di eventi più o meno memorabili, comunque sempre di vita e sempre – per Dio! – vissuta.
Allora lascio che i colori si affievoliscano e che ogni entusiasmo collassi, flebile nella sua stessa piccola implosione.
Sono sequenze di giorni, un quattro di un mese caldo, un cinque di un mese freddo e tutta l’impossibilità di muovere l’indifferenza.
Dicono i buddhisti di lasciarsi andare alle proprie pulsioni, perchè ragionevoli espressioni del nostro essere. In questo caso seguo il loro consiglio.
La forza è quella cosa mancante nei momenti peggiori. Questa la devo proporre tra le neomurphologie come nuovo accompagno di un pessimismo fittizio.
E’ bello ricordare e ricordarti, un po’ meno la consapevolezza del “mai più”. Ed è inutile girarci intorno con la battuta buonista o cinica che sia: cinico è prendere per mano questa considerazione ed è altrettanto buonista il saper ricordare.
Appunto, ricordarti.
Hanno fatto un concorso musicale col tuo nome sopra, ed è per me un gran motivo d’orgoglio.
La traccia indelebile l’hai lasciata.
Spiace soltanto, nel mio comportamento, magare sembrare indifferente alle persone che ho accanto: meno brillante. So che la cosa ti farebbe girare i coglioni.
A rendere il tutto ancora più assurdo c’è il fatto di sentirmi lontanto, e di riflesso soffrirne. Soffrire dell’allontanamento di cui in fondo sono causa.
Passerà. Passeranno questi giorni mesti per dare spazio a una nuova stagione e fanculo alle difficoltà del momento, mi hai dato tutto quello che serve per poter andare avanti senza aver timore di nulla, e la forza d’animo di procedere sempre. Di insistere.
E allora, in questa orrenda ricorrenza ti voglio vedere gloriosa, più di quanto tu lo sia mai stata, portatrice di sensazioni dentro e fuori con l’impeto di una tempesta e gli sbalzi di un’immensa fila di onde. Ti voglio ricordare cantare a squarciagola le tue canzoni preferite e ridere a crepapelle nelle chiacchiere con le amiche.
Nella soddisfazione di organizzare qualcosa di grande, che se anche poteva ingigantirsi al punto di divenire più grande di te sapevi comunque ignorarne la cosa.
Come fanno i calabroni, morfologicamente impossibilitati al volo, che ignorandone la cosa fanno l’impossibile: volano.
Ri-arrivederci.
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