Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Ottantatreesimo

E allora ritiriamoci per qualche giorno. Sì, andiamo a vedere come si presentano le terre friulane una volta per tutte.

Guardiamo mio padre e mio fratello intenti ad un full-immersion nel mondo equestre a stelle e strisce ed uniamoci al seguito.

Attraversando in largo il nord Italia, ho visto la terra distesa alzarsi in ordinate colline spolverate di vigneti e fiori gialli, per poi spianarsi di nuovo fino all’orizzonte.

La campagna friulana si presenta simile a quella di Mordor, ma le zone boschive sono decisamente più selvagge.
Il tagliamento ha un letto talmente grande che ci fanno le esercitazioni con i carri amati – mi dicono: ora sono più tranquillo.

Vedere quel letto di pietre bianche con le venature turchine è uno spettacolo non indifferente, soprattutto quando da tempo mancavano agli occhi acque cristalline correnti direttamente dalla terra.

Tengo a precisare che per la manciata di giorni cui ho presenziato mi è stata concessa solo mezza giornata di sole. La giornata delle gare in un centro, insomma ‘na botta di culo tra freddo e acqua dal cielo.

Arrivati giust’appunto per l’ora dell’aperitivo non ci resta che infilarci in uno dei tanti bar che offrono servizio nel centro di San Daniele.
Sì, proprio il paese dei prosciutti: dove anche il tabaccaio ha un bancone a parte con l’affettatrice pronta ed un cartello con scritto DEGUSTAZIONE PROSCIUTTO in molteplici lingue, alcune a me sconosciute.

Lo Spritz é l’aperitivo più comune nelle zone del triveneto, ed é composto principalmente da acqua frizzante ghiacciata e vino bianco.

Da lì le diverse versioni personalizzate: spritz col rosso, spritzaperol e così via.

Subito una constatazione economica: 4 spritz col rosso e una birra piccola sono costate come 1,5 aperitivi a Mordor. Il che può suggerire quanto sia già predisposto il territorio all’assunzione di qualsivoglia sostanza alcoolica.
Il discorso ovviamente cambia se ci si lascia andare ai classici superalcolici, esclusa la grappa, di cui parlerò dopo.

Ancora prima di arrivare veniamo prenotati da Alessio, cliente e amico di mio fratello che intende portarci il giorno successivo da un amico, a mangiare gli stinchi. Serata rigorosamente per soli uomini.
Ancora ero ignaro di quello che avrei visto.

Ci si ritrova nel parcheggio di un supermercato, per poi entrare ed iniziare con un giro di spritz rosso.
Ci muoviamo fino alla cascina di questo suo amico e ci accomodiamo in quella che si potrebbe definire a tutti gli effetti una sala da pranzo rustica, norcineria, sala da gioco o quant’altro.

Pochi minuti dopo ci raggiunge il proprietario della baracca – un ometto basso e vispo, con la pelle abbronzata e la faccia da Terence Hill – che in quindici secondi prepara il salame a fette (di sua produzione) e il vino rosso (sempre di sua produzione).

Durante la partita dell’Italia – allora impegnata con la Romania – si susseguono vassoi d’affettato, vino rosso e asparagi sott’aceto, tutto quanto prodotto dall’ospite che non nasconde l’orgoglio e ci rivela che tutto quanto lui fa serve per essere “mangiato con gli amici”.

Nonostante cercassi di carpire qualche metodo nei suoi lavori, non c’è stato verso di cavarne fuori nulla:

N: come si fanno questi asparagi? Sono bianchi!
O: eh, sono così.
N: no, voglio dire, come li prepara per metterli sott’aceto?
O: si raccolgono appena sotto la terra.
E se ne va.

N: spettacolo questo vino rosso! Con che uve le fa?
O: uva.
E se ne va.

A quel punto prendo a borbottare con mio fratello sulle uve usate per le produzioni di vino, e lui, senza scostarsi dal lavabo su cui stava sciacquando qualcosa dice: “qui che uve vuoi che ci siano, cabernet e pinot” – tagliando corto.
Stavo cominciando ad affezionarmi sul serio.

Finita la partita la sala si popola di personaggi chiassosi e festosi. All’arrivo dell’ospite con una teglia enorme ci vengono svelati gli stinchi: dei femori con attaccati un chilo di carne l’una, cotti al forno.
Per un attimo mi sono sentito mancare.

N: Hemmm, chi fa a metà con me?
E tutti che fischiettano ignorandomi.

Grazie al cielo mio padre si discosta molto poco dal sottoscritto per fisionomia e appetito, così riesco a dividere quel quarto di bue con lui.

Tre annotazioni particolari:

  1. alla richiesta di uno dei presenti del pepe, è comparso in tavola un vasetto della nutella da cinque chili colmo fino all’orlo di pepe nero tritato.
  2. Alla richiesta di un altro dei presenti di uno stuzzicadenti, ha fatto il suo ingresso in tavola un ceppo di legno. Esattamente come quelli che si vedono nelle case con il camino, solo più grosso.
    Lì per lì non capivo, finché un ospite non ne ha strappato una fibra lunga e sottile e l’ha utilizzata come se fosse uno stecchino samurai, solo un po’ più lungo.
  3. Appeso al soffitto, una striscia adesiva. Naturalmente fissata con un occhio di porco.
    Ho passato buona parte della serata tra il divertito ed il preoccupato.

Dopo tre ore di tavola con chiacchiere di ogni genere (ovviamente vincolate alle argomentazioni prettamente maschili) mi veniva fatto notare che sulla tavola non era mai comparsa nemmeno l’ombra di una bottiglia d’acqua.

Poi il distillato di prugne.
Poi la grappa: se ha meno di 50 gradi è roba poco seria, per citare la critica di uno dei commensali.

Me ne stavo lì a cercare di mettere a fuoco le figure danzanti davanti a me quando si alzano in piedi tutti e si spostano sull’altro tavolo.
Uno prende a tirare delle righe (no, non quel genere di righe) sul tavolo con un gessetto, mentre un altro rovescia un po’ di vino poco distante alle prime due di una serie lunga: sarebbe stato il segnapunti della morra.

Cìnk, vòt, dodès, ìssa*…

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Alcune fasi del gioco, di cui credo di non aver capito per nulla le regole

A quel punto ci congediamo dai giocatori e ci dirigiamo nel centro storico di San Daniele, giusto per mettere un tappo a quanto mangiato/bevuto.
Arriviamo da Max & Max, locale di due amici, e dopo tre tentativi di scatto riesco a fotografare i loro orari d’apertura.

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E’ una terra strana il Friuli.
Se qualcuno mi dovesse chiedere “Com’è il Friuli?”, risponderei sicuramente “Alcolico”.
In realtà è d’effetto vedere la genuinità di quella gente, nelle loro mescolanze linguistiche (lì si parlano dialetti ed il ladino, una lingua vera e propria che ben poco spartisce con l’italiano o i dialetti di Mordor.
Resta anche l’unica regione in cui delle donne sono riuscite a canzonarmi sul bere il vino.
“Dai Nicola, non ne vuoi dell’altro?” mentre dovevo strizzare palpebre e neuroni per seguire i discorsi.
Mai vèri uèit=mai il bicchiere vuoto: il trucco per non farsi riempire continuamente il bicchiere di vino. Peccato me lo abbiano spiegato alla fine di una delle cene fatte.

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E’ un buon posto, soprattutto per gli spazi verdi che offre, e le montagne lì a portata di mano.

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E poi ce n’era bisogno, lì per lì, con ancora il fiato sospeso per una realtà ovattata, un po’ come a stare sott’acqua.
Ed il bisogno di cui parlo forse ora non lo so spiegare, ma è un po’ come guardare la realtà con occhi diversi, e vedersi con uno sguardo diverso.
Attraverso quello di un bambino che gioca con una macchina fotografica, per esempio.

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Il cardo me lo ha portato Davide, dopo un’escursione a cavallo con un suo amico.

*issa: sei in friulano.

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  1. Federico

    Rende sempre orgogliosi sentir parlare così bene della propria terra, cosa che mi ha sorpreso in questo blog, complimenti per il blog (anche se non avessi parlato del Friuli lo leggerei lo stesso)

  2. Nicola

    Grazie per i complimenti Federico.

    Purtroppo ho visto che in questo vecchio post tante fotografie sono saltate (ce n’erano, dell’altopiano Carsico, di molto carine).

    E la ruvida ospitalità che non lascia scampo.

    Un saluto!

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