De gustibus…
Attenzione, il post che segue é colmo di citazioni poetiche. Se siete sensibili lasciate perdere.
Appurando la differenza che corre tra noi coinquilini, questo è stato battezzato come il fine settimana “de-gustibus”, dove piuttosto che discutere fino alla morte su idee e costumi totalmente diversi tra di noi, si tende a tappare il principio di diatriba con un de gustibus…
Anzi Degustibus…
Questo è stato il primo ed ufficiale fine settimana degustibus…
Solitamente posso attribuire con una sorta di preveggenza l’imprevedibilità di un fine settimana. Lo intuisco dai piccoli segnali percepiti all’avvio della prima serata.
Quello passato è da annoverare sicuramente tra i fine settimana più imprevedibili. Da impacchettare e da tenere da parte con attenzione affinché non si sciupi.
Il primo chiaro segnale di inusuale è arrivato senza nulla di eclatante, ma sortendo lo stesso un effetto di stupore.
Trovarsi in Trastevere e venire improvvisamente colti dall’odore di carne cotta alla brace, svoltare l’angolo sui sampietrini umidi e trovarsi davanti una facciata fatiscente con delle enormi fiaccole accese.
Ammetto di aver desiderato, per un attimo, di spegnere con una sassata quel lampione posto in alto al centro.
Era talmente fuori luogo in quell’angolino magico che penso avrebbe solo giovato all’aspetto globale di quella piccola piazzola.
Preso nota del locale la serata è proseguita come doveva, tra compagnie di turiste americane starnazzanti tutto il loro vacanziero entusiasmo e coppiette romane in pacate effusioni a volume chiacchiera-in-chiesa.
Era solo giovedì sera.
La serata successiva meriterebbe per il sottoscritto il dono dell’ubiquità, almeno per quanto riguarda il resoconto di Saverio – coinquilino/compagno di stanza – a cena con altra gente e gli altri due coinquilini.
Ma una cosa alla volta.
Decisi a raggiungere Campo dei Fiori sbagliamo fermata – classico – e ci avanziamo di dover affrontare qualche centinaio di metri in più a piedi.
Proprio mentre stiamo chiacchierando del più e del meno l’aria viene pervasa dalle note di “The Final Countdown” degli Europe per poi tornare ai suoni di auto e voci per la strada.
Pochi secondi e di nuovo quelle note.
Guardando in tutte le direzioni allusive dell’origine di quel suono vediamo una porta aprirsi “…It’s the final…” e chiudersi “vrooom…” aprirsi “…heading for Venus…” e chiudersi “…no ppecché ‘n se fa…”.
Quindici secondi di slalom tra ragazzi anglofoni ed eccoci a ridosso di un elegante bancone con bariste degne del Coyote Ugly e moltitudine di ragazzi danzanti in preda a deliri alcolici.
Proprio mentre ho per me l’attenzione di una di queste – con un girovita a vista non oltre i 55 centimetri – e mi sporgo per ordinare, sento qualcosa di strano.
Qualcosa mi passa tra il ginocchio e lo sento scendere accarezzandomi fino alla caviglia.
Lì per lì non so se dare retta all’angelica figura davanti o preoccuparmi per quello che sta succedendo sotto di me, così rimbalzo con lo sguardo tra davanti ed in basso, sotto lo sguardo basito della barista.
Deciso a togliermi ogni dubbio mi giro, per scorgere un paio di gambe avvolte in un collant nero nell’esatta posizione cui potrebbe far piacere vederle, ma non nell’esatta posizione che si addice ad un locale.
Salendo con gli occhi riesco a vedere il bel viso di una bionda anglofona con gli occhi aperti tanto quanto un pugile grande incassatore alla dodicesima ripresa.
Cominciamo bene.
Onde evitare ulteriori complicazioni decidiamo di uscire e di dirigerci in altro loco.
Campo dei Fiori visto in lontananza da un qualsiasi vicolo d’accesso si presenta come un carnaio pulsante vita, risa, linguaggi di ogni genere.
L’insolito sta nel percorrere queste vie d’accesso spesso vuote. Come se la legge dell’imbuto fosse invertita: vicolo stretto = tanto spazio, piazza enorme = poco spazio.
Contemporaneamente, ma da tutt’altra parte, Saverio veniva ripetutamente molestato da una ragazza nonostante il medesimo avesse manifestato tutto il suo dissenso a riguardo.
“Nic, serata rovinata da una tipa. Mi sono sentito stuprato”.
L’immagine disegnatami in testa mentre mi raccontava era quella di lui rannicchiato in un angolino sotto la doccia, solo e tremante, nel disperato tentativo di lavare via da sé quell’orribile esperienza.
Ma il bello sarebbe avvenuto due sere dopo.
Non mi dilungo sulla serata, poco tempo e voglia di scrivere.
O forse solo voglia di parlare del successivo.
La sera successiva era dedicata ad una festa di laurea.
A parte la cover-band dei Pink Floyd – bravi e con tanto di coriste, per carità, ma quel gruppo andrebbe preso a piccole dosi nel proprio privato, non il sabato sera ad una festa, comunque un’intera ala del locale per noi con tanto di bancone e barista a disposizione per tutta la serata.
Grazie Nino, mi hai sorpreso per una cosa: la variegata composizione del tuo gruppo di amici, da una testa blu fino a otto centimetri di tacchi. Sono le persone che preferisco.
Annotazione su ciò che ha accomunato gli amici di Nino: Capelli blu e borchie, abiti da sera con la scollatura sulla schiena, jeans, sciarpe in lana e foulard in seta.
Anfibi e tacchi a spillo.
Tutti, tutti, almeno una volta hanno avuto tra le mani un bicchiere di Negroni. Dei consumatori da competizione di quel cocktail spremi-fegato e tutti di piacevole compagnia.
Mads annotato tra i locali cui poter far serata.
Arriviamo a domenica, serata in cui con Marco e Saverio si decide di andare a mangiare una pizza alla gay street.
Zona passata al vaglio l’ultima volta troppo tempo indietro.
Siamo a ridosso del Colosseo.
Piccola premessa sui personaggi presenti.
Marco
Marco è l’equivalente del maschio “ommo”.
Il suo lato femminile ha la stessa influenza su di lui dell’incidenza territoriale dell’isola di Nicobar sull’Asia.
Saverio
Saverio è fashon.
“L’estetica non è tutto” sarebbe il suo motto nella classifica delle frasi ironiche.
Non credo, per ora, serva aggiungere altro.
Entriamo nel locale più famoso della gay street giusto per prendere un amaro e starcene tranquilli accompagnati da musica a volume gestibile.
Tutto tranquillo fino a quando io e Saverio non usciamo a prendere le sigarette al tabaccaio lì vicino, lasciando Marco a tenere i posti.
Da solo.
Al rientro lo troviamo in una scorrevole discussione con un uomo non meno peloso di lui.
Tutti e due barbuti ed intenti a raccontarsela come dei vecchi amici.
Arriviamo noi ed il suo nuovo amico lo lascia ai vecchi amici.
“Non ti si può lasciare solo un attimo è?”
Nel mentre lo prendiamo in giro ci rendiamo conto che la discussione del nuovo amico con i suoi amici verte sulle ipotetiche dimensioni di Marco.
Saverio ci marcia sopra un po’ “guarda te, ti lasciamo solo e già lì a rimorchiare…”
Finché non ci si piazza davanti l’equivalente maschile di una fotomodella.
Lo ammetto: se avesse avuto le tette e non avesse avuto strane appendici tra le gambe (o, come dice Marco stesso in tutta la sua poesia “avesse avuto sei labbra”) un pensiero ce l’avrei fatto.
La realtà era che quel viso era proprio bello. Ma non bello da “uomo” bello.
Bello da “gran gnocca” bella.
Dicevo, Saverio non ha ancora finito di burlarsi di Marco che quello si avvicina a noi e ci chiede, senza mezzi termini “ma siete gay?”.
La vendetta di Marco si è materializzata all’istante: “io no, ma vivo con loro…” senza aggiungere altro.
Tra un “che fate?”, un “dove siete stati sabato” e “dove girate di solito”, Gregorio – lo so, suona strano per il viso che si ritrova, ma tant’è – si avvicina a Saverio e gli sussurra qualcosa all’orecchio.
Saverio cambia espressione del volto. Raccoglie le sue forze e pacatamente cerca di rifiutare un bacio a richiesta nel modo più educato: “no, è che non mi piace così. Deve esserci un’intesa, un gioco di sguardi…”.
Io annuisco veramente impressionato dal modo disinvolto di esporre le proprie idee di Saverio.
Stavo quasi per iniziare a lanciargli quelle occhiate di intesa, quando mi rendo conto di un errore di fondo. L’esclusione a prescindere del “no, sono etero” non ha fatto altro che aumentare il desiderio del ragazzo/a.
Intanto, sullo sfondo, Marco continua a chiacchierare con l’amicone.
Saverio, Gregorio ed io (che sapeva di Marco ma non di me e Saverio)
G:“Mi lasci il numero di telefono?” |
Marco e l’amicone (che ancora non sapeva)
A: “…così faccio palestra” |
Non so se la ricostruzione di quanto detto da Marco sia esattamente in linea, ma apporrò le dovute correzioni appena avrò la sua precisa consulenza.
Fatto sta che a furia di prenderlo per il culo c’ho guadagnato una caviglia gonfia stamani. E tutto il suo sorriso per quanto scritto qua sopra, credo.
Alla prossima.
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