Incubo di una notte di mezzo inverno
Ho sognato una lucciola. No, non “quel genere” di lucciole. L’insetto, intendo. Una lucciola.
Volteggiava silenziosa scandendo il suo volo con morbide sequenze luminose, compariva e spariva in vari punti della stanza, buia.
Ora sparisce, dopo un accenno di visibile volteggio, per ricomparire vicino a me.
Sono sdraiato sul divano, a pancia sotto; riesco a percepire la presenza del piccolo insetto con la coda dell’occhio, ma non ne sento alcun ronzio.
Passa un istante e la scena si sposta: sono in una zona che so di conoscere, ma che non riconosco; con uno di quegli scooter di grossa cilindrata percorro la strada per rientrare a casa, ma superato il primo viale ben illuminato, una rotonda centrata da una grossa fontana circolare ed il ponte che sovrasta il fiume, mi ritrovo nella totale assenza di luce.
Mi rendo conto di non riuscire a governare il veicolo perché lo sto guidando tenendolo per un appiglio non decifrabile, diritto – anziché perpendicolare (come dovrebbe essere il manubrio)– rispetto a me. Una sorta di timone frontale per le piccole barche a vela, anziché dietro.
Realizzo che da questo strano appiglio in realtà regolo la velocità dello scooter stesso, avendo all’estremità un’impugnatura girevole, come un normalissimo acceleratore da manubrio.
Il mio sgomento aumenta con le sbandate del veicolo in quel mare oscuro.
Cerco disperatamente di impugnare il manubrio, ma contemporaneamente non mollo quell’appiglio innaturale: so che se lo facessi, perderei velocità e cadrei.
Con un gesto improvviso, con il braccio sinistro, riesco ad accendere le luci dello scooter e mi trovo in prossimità di un sottopassaggio vicino a casa.
Lì, non ricordo bene come, incontro una donna dall’aspetto piacevole visibilmente più grande di me.
Ancora senza ragione logica, mi ritrovo a casa sua: scambio di occhiata e scambio di battute gelide con quello che presumo fosse il marito. La sto aiutando a portare qualcosa in casa, ma non so bene se si trattasse della spesa o di cos’altro.
Nell’ultimo scambio di parole con lei, mi balza addosso l’angoscia di aver lasciato lo scooter in strada con le chiavi inserite.
Temendo il furto, senza salutare mi avvento fuori da quella casa.
Ricordo di aver aperto la porta di quell’abitazione – a me sconosciuta – facendo scattare ben tre diversi tipi di chiusura: due differenti a chiavistello, ed una serratura normale. Ancora mi chiedo il perché di quell’immagine impressa. So che l’ho fatto in un istante.
Percorro i corridoi che danno all’uscita e premo l’interruttore dell’apri-porta, tirando un sospiro di sollievo nel momento in cui realizzo lo scooter nello stesso modo in cui l’avevo lasciato.
D’improvviso mi ritrovo a casa, sul divano, come all’inizio del sogno, riverso a pancia sotto, nel dormiveglia decisamente rivolto più al sonno che alla veglia. Scorgo di nuovo la lucciola, ancora danzante per la stanza. Ho la sensazione di averne diverse – di lucciole – nella stanza, anche se ne vedo solamente una.
Improvvisamente sento tirare i miei capelli, ma con poca forza. So che è una lucciola a farlo e lo capisco dalla forza, del tutto simile ad un “barrieiano” Campanellino.
Poi sento tirare per il colletto del maglione, per lo stesso, ma all’altezza della schiena.
Mi sento attaccato in qualche modo. Mi prende ansia ed angoscia del tutto immotivata. Non capisco se vuole dirmi qualcosa, smuovermi, o farmi davvero del male.
Mi sveglio.
Ore tre e diciassette minuti – da cellulare. Alle sei inizio il turno meno amato: mondo infame. Macché infame, sei quasi sudato, col cuore che pulsa a mille e non hai nemmeno mangiato pesante la sera prima: “mondo di merda!”.
Non mi faccio nemmeno le uova al burro. Mi è passato l’appetito. In compenso mangio un croissant e bevo una tazza da sei di caffè, giusto per accompagnare il nervosismo post incubo.
Se questo è l’incipit della settimana, è il caso che mi inventi qualcosa per sopravvivere.
Dottore: è grave?
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