Lode agli animali da superficie: campano meglio. Meglio, di certo, di tutti quelli intenti a crogiolarsi nei propri oscuri pensieri.
Poi, tra questi, c’è chi nella superficie ci passeggia, magari mangiandosi una mela coi libri di scuola, come cantava Vasco. Con la piccola differenza di possedere la chiarezza dell’alba e l’oscurità della notte contemporaneamente.
Qui viene la parte divertente.
La superficie mi diverte, la loro popolazione è uno spasso, almeno fino a quando non cercano di intavolare un discorso per poter stare all’interno di una discussione di cui – forse – ne conoscono l’imbocco e nulla più.
Se sono stato poco chiaro fino a qui, tranquilli, è voluto.
Non fraintendete, non ce l’ho con i semplici, loro li tratto con i guanti di velluto e li proporrei come specie protetta e da tutelare.
Ce l’ho con i semplifisticati.
Rido dei semplifisticati.
Non so se ne avete mai conosciuto qualcuno, ma sono quelle persone che, per citare Forrest Gump, si sono trovati una scatola di cioccolatini vuota e la vogliono spacciare per una confezione di lindt prima qualità.
Sono quelle facce fatte di tante strette di mano, tanti sorrisi, e delle impalcature di montagne di appoggi/presentazioni/introduzioni.
Truffatori della fama. Badate bene, non di fama.
Poi scopri durante una conversazione che sotto il Ponte dei Sospiri a Venezia fanno dare i baci alle giovani coppie perché “ponte-degli-innamorati” – e poveri gli storici carcerati e gran burlone il gondoliere che gliel’ha raccontato, si meriterebbe un abbraccio dal sottoscritto, in fondo il “pieno-di-sé” se lo è meritato.
Sconcertante è l’attenzione al merito dell’immeritato. Ed i visi annuenti! Ringrazio il mio bicchiere di gin, tanto bruciante quanto rincuorante.
Oppure scopri che lo zibibbo è un vino tipico pugliese, e povero il mio primitivo che, all’occasione, l’ho voluto immaginare come un vero e proprio cavernicolo, incapace di intendere le parole del “profeta del vino” di turno.
A scanso di equivoci ho chiesto del prosecco. Di Valdobbiadene; giusto per non sbagliare e sapere dove mi trovavo.
Ed ancora, le famosissime Odi Barbare di Pascoli, per finire nel Maestro e Margherita di Tolstoj.
Per poco non vomito.
E non ho sorriso.
Eppure, quante strette di mano e, ahimé, quanti sorrisi. Mi auguro, di plastica – che di per sé già mi dà fastidio – perché se fossero di assenso, davvero, non mi resterebbe che piangere, come quel film con Cocchi e Renato.
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